No alla Generazione Covid. Un articolo di Massimo Recalcati
«Quando mai un processo di formazione avviene seguendo una traiettoria ideale?»
Mentre si confrontano, in questo tempo di pandemia, i favorevoli e i contrari alle lezioni in presenza, attuate con differenti modalità nelle scuole secondarie di secondo grado e negli altri livelli del sistema scolastico, sembra utile proporre la lettura di un articolo dello psicoanalista Massimo Recalcati, pubblicato su La Repubblica del 23 novembre 2020, intitolato “No alla generazione Covid”.
Dopo aver sottolineato che «la Scuola ha continuato ad essere aperta nonostante sia stata di fatto chiusa», l’Autore – avendo ben presente che la didattica a distanza non è l’ideale – si sofferma su un aspetto importante del dibattito, non sempre evidenziato, ma tuttavia cruciale in questa fase della nostra vita sociale e nel percorso formativo di ciascuno, che tocca la responsabilità e le scelte educative dei genitori (che corrono il «rischio di vittimizzare i loro figli e una intera generazione») e coinvolge gli insegnanti (quelli che con «gesto etico ed educativo … spendono se stessi facendo salti mortali per fare esistere una didattica a distanza»).
Vi lasciamo, senza rubarvi altro tempo, alla lettura dell’interessante articolo di Recalcati, che pubblichiamo integralmente di seguito e che comunque si può trovare, insieme a molti altri e a diverse informazioni sulle pubblicazioni e le attività del noto psicoanalista, al link https://www.massimorecalcati.it/articoli.
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Massimo Recalcati, “No alla Generazione Covid” (La Repubblica, lunedì 23 novembre 2020)
Non ci siamo mai accorti così tanto dell’importanza della Scuola come da quando siamo stati costretti dall’emergenza sanitaria a chiuderla. Si poteva fare di più?
C’erano altre possibilità? Constato che la Scuola ha continuato ad essere aperta nonostante sia stata di fatto chiusa. Questa apertura coincide in primo luogo con la cosiddetta didattica a distanza. A rigore, com’è ben noto a tutti gli insegnanti, si tratta di una contraddizione in termini perché la didattica implica come tale la relazione, la presenza dei corpi, lo stare insieme in una comunità vivente senza l’asettica mediazione assicurata dalla tecnologia. Si potrebbe certamente indugiare, lato docenti e lato allievi, sugli innumerevoli limiti di questa didattica. Evidentemente essa non è affatto, come si dice, l’ideale.
Implica, infatti, uno sforzo supplementare rispetto alla didattica in presenza senza però raggiungere gli stessi risultati. Ma, proviamo a chiederci: quando mai un processo di formazione avviene seguendo una traiettoria ideale? Chi si occupa a diverso titolo di formazione sa bene che quello che dà davvero forma alla nostra vita non è mai nell’ordine dell’ideale. I maggiori effetti formativi si generano non a partire dai successi o dalle gratificazioni, dalle prestazioni mirabili o dalle affermazioni senza intoppi, ma dalle cadute, dai fallimenti, dalle sconfitte, dagli smarrimenti. Ebbene non è quello che sta accadendo sotto il terribile magistero del Covid 19? I nostri figli non si trovano forse confrontati con l’asprezza del reale invece che con il mondo sempre un po’ ovattato dell’ideale? Ogni processo autentico di formazione non è mai un percorso lineare, privo di interruzioni o di avversità, non è mai come percorrere un’autostrada vuota. Il movimento proprio di ogni formazione è spiraliforme e riguarda innanzitutto la capacità di rispondere alla ferita e al trauma: come ci si rialza dopo essere caduti? Come si riparte, come si riprende il cammino dopo essersi smarriti? Ogni formazione è fatta di buoni e di cattivi incontri, di buona e di cattiva sorte. I genitori contemporanei (ben prima del Covid) vorrebbero invece escludere per i loro figli l’esperienza dell’ostacolo e dell’impatto aspro con il reale, la sofferenza e la frustrazione. Per questo essi oggi possono apprensivamente gridare al trauma, preoccuparsi di tutto il tempo irreversibilmente perduto dai loro figli, maledire le rinunce alle quali essi sono stati ingiustamente sottoposti. Ma in questo modo correranno l’inevitabile rischio di vittimizzare i loro figli e una intera generazione.
Se i nostri ragazzi non hanno potuto beneficiare di una didattica in presenza nel corso di quest’anno, se hanno perduto una quantità di ore e di nozioni significative e di possibilità di relazioni, questo non significa affatto che siano di fronte all’irreparabile. Il lamento non ha mai fatto crescere nessuno, anzi tendenzialmente promuove solo un arresto dello sviluppo in una posizione infantilmente recriminatoria. A contrastare il rischio della vittimizzazione è il gesto etico ed educativo di quegli insegnanti che spendono se stessi facendo salti mortali per fare esistere una didattica a distanza.
Insegnare davanti ad uno schermo significa non indietreggiare di fronte alla necessità di trovare un nuovo adattamento imposto dalle avversità del reale testimoniando che la formazione non avviene mai sotto la garanzia dell’ideale, ma sempre controvento, con quello che c’è e non con quello che dovrebbe essere e non c’è. Si tratta di una lezione nella lezione che i nostri figli dovrebbero fare propria evitando di reiterare a loro volta la lamentazione dei loro genitori. Non ci sarà nessuna generazione Covid a meno che gli adulti e, soprattutto, gli educatori non insistano a pensarla e a nominarla così lasciando ai nostri ragazzi il beneficio torbido della vittima: quello di lamentarsi, magari per una vita intera, per le occasioni che gli sono state ingiustamente sottratte.
Coraggio ragazzi, siete sempre in tempo anche se siete in ritardo! È, in fondo, nella vita, sempre così per tutti: siamo sempre ancora in tempo anche se siamo sempre in ritardo.